Sala della linea temporale

Un secolo di storia nazionale, scandito attraverso una materiale ‘linea del tempo’, articolata nelle sue date, luoghi e protagonisti significativi, senza escludere i motti, gli slogan, le frasi famose, d’origine politica o letteraria, attraverso cui sono cresciuti il consenso e la partecipazione alla causa italiana.

Uno spazio espositivo che intende essere un occasione importante per tornare a interrogarci, come comunità locale e nazionale, su chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.

Per avviare, ci auguriamo, una significativa ricerca di senso, collettiva e condivisa.

Abbiamo scelto, così, di intrecciare le imprese dei Padri della Patria con le passioni e le delusioni, gli entusiasmi e i sacrifici di personaggi meno noti, “locali”, “minori” che, confrontandosi con i bordi frastagliati e taglienti della grande Storia, seppero, comunque, lasciare tracce profonde nella coscienza degli uomini loro contemporanei. Per capire, meglio e insieme, qual è l’eredità che ci portiamo dietro e che cosa significa essere italiani, oggi.

Uno spazio didattico, con alcune proposte riassuntive formulate in modo semplice, fruibile e, speriamo, divertente, permetterà, poi, a ciascuno dei Visitatori di verificare se e quanto la nostra fatica gli sarà stata utile per una più chiara e significativa comprensione dei processi fondativi della nostra storia nazionale.

Per decidere consapevolmente se la storia italiana possa ancora essere considerata un serbatoio di identità e quale idea d’Italia vogliamo avere per il futuro.

Consulta in modo accessibile

In questa sezione vengono presentate le opere esposte presso il Museo del Risorgimento di Lucca secondo un ordine cronologico.

 

 1800

Pistola a pietra focaia alla moderna

Descrizione:

La pistola, a canna tonda e cassa in legno di noce, è probabilmente di origine francese.

1820

Sciabola da Ufficiale della Marina austriaca, con fodero e dragona

Descrizione:

Lama in acciaio, fornimento in ottone con rilievi raffiguranti Nettuno col tridente e sulla coppetta due Sirene con ancora e aquila austriaca. Monogramma corsivo FI I sulla dragona

1821

Il tricolore del Museo del Risorgimento di Lucca

Descrizione

Dopo essere stata ammainata col Congresso di Vienna che pretendeva di cancellare dalla storia l’intero periodo napoleonico, la bandiera verde, bianca e rossa, nata con le repubbliche giacobine del triennio 1796 – 1799, si rifugiò nella clandestinità delle società segrete, generalmente di ispirazione massonica.

A questa fase della nostra storia nazionale risale, con ogni probabilità, il tricolore, tra i più antichi d’Italia, conservato a Lucca presso il Museo del Risorgimento: le tre bande verticali con i colori che poi sarebbero diventati canonici lo collocano tra gli anni venti e l’inizio degli anni trenta del XIX secolo, quando i colori azzurro, rosso e nero della tradizione massonica furono sempre più spesso sostituiti dal verde, bianco e rosso. Ha questa struttura, per esempio, la bandiera dell’effimero Stato delle Provincie Unite (5 febbraio 26 aprile), nato dagli sfortunati moti emiliani e romagnoli del 1831; inoltre, nel luglio dello stesso anno, lo statuto fondativi della Giovane Italia, redatto da Giuseppe Mazzini, ribadisce che proprio quelli sarebbero stati i colori della bandiera italiana.

Nel primo come nel secondo caso agiscono due suggestioni:

  • una storica, ovvero la memoria del tricolore che aveva sventolato in Emilia e nella Repubblica Cisalpina;

  • l’altra legata all’attualità politica: Le vicende francesi del 1830, che avevano visto la rivoluzione di luglio, la cacciata del reazionario Carlo X e l’avvento della monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orleans, avevano significato anche il recupero di un altro tricolore, quello francese, e della sua straordinaria capacità di evocare gli immortali principi di libertà, uguaglianza, fraternità.

Ancora una volta costretto alla clandestinità il tricolore italiano fece la sua apparizione alla vigilia del 1848, l’”anno dei portenti”. Dopo essere stato per oltre quindici anni sottratto alla vista e alle passioni degli italiani, tornò a sventolare di nuovo proprio a Lucca, nei giorni tra il 6 e il 10 settembre 1847 in concomitanza con le manifestazioni popolari che imposero a Carlo Lodovico di Borbone, che solo un mese più tardi avrebbe abbandonato la città delle Mura, la formazione della Guardia Civica, la liberazione dei prigionieri politici e l’impegno a nuove leggi e riforme. Solo alcuni giorni più tardi, il vessillo verde, bianco e rosso avrebbe guidato le dimostrazioni patriottiche livornesi e fiorentine.

Di poco più tarda la frase che campeggia nella banda bianca centrale

Italia libera Dio lo vuole”

Si tratta di affermazioni perentorie, che riprendono la tesi giobertiana di una Italia fondata su una confederazione con a capo il papato, che contraddistingueranno i tricolori del Governo Centrale provvisorio di Lombardia (8 aprile 1848 – 2 agosto 1848) e che si ritrova anche nella monetazione di quei mesi.Una testimonianza di come la bandiera lucchese abbia partecipato ai più esaltanti momenti della prima guerra d’indipendenza e dell’intera vicenda risorgimentale.

Il Museo del Risorgimento ha ricevuto nel 1925 questo prestigioso tricolore dall’Amministrazione Provinciale di Lucca che lo aveva ricevuto in dono dal Senatore Giuseppe Soma nel 1895 accompagnato dalla lettera di seguito riportata.

Lucca 2 agosto 1895

Ill.mo Sig. Presidente

Della Deputazione Provinciale di Lucca

Mi pregio di offrire a questa nobile Provincia ove ho passato con tanto piacere l’ultimo periodo della mia vita, la bandiera dei Carbonari del 1821, al cui Comitato già apparteneva il mio genitore che la ebbe in custodia e che a me la lasciò alla sua morte.

Questa bandiera sventolò alle cinque giornate di Milano ove io ho combattuto sulle barricate nel 1848.

Mi duole che i documenti comprovanti l’autenticità di questa bandiera non possa produrli, perché mi furono sequestrati all’epoca del mio arresto, quale compromesso politico.

Sono sicuro che la Provincia di Lucca custodirà gelosamente questo ricordo storico dei Moti Rivoluzionari che prepararono il nostro Risorgimento Nazionale.”

f.to Giuseppe Soma

(Il testo della lettera è tratto dall’opuscolo “Museo della guerra” edito a cura della Federazione Prov.le Combattenti di Lucca, pag. 10 – stabilimento tipografico A.M. Amadei – 1934).

1831

Giuramento degli affratellati alla Giovane Italia, 1831 (si tratta di un video digitale in cui il Giuramento viene letto dallo scrittore Roberto Saviano):

Descrizione:

Nel novembre 2010, nel corso della trasmissione televisiva “Vieni via con me”, lo scrittore Roberto Saviano legge il Giuramento degli Affratellati alla Giovane Italia.

Il testo del Giuramento, redatto nel luglio 1831 da Giuseppe Mazzini, è fondamentale per comprendere il pensiero mazziniano: compare il termine “missione”,  centrale nella sua religione del dovere e per alimentare lo slancio verso l’unità nazionale. Nel Giuramento si auspica un’Italia che sia “Una, libera, indipendente, repubblicana” e si individua nel popolo italiano il depositario delle energie morali necessarie per realizzarla.

 

1836

Carabina di Matteo Rossi di Coreglia

Descrizione:

La carabina è un fucile a canna corta e rigata, di solito di piccolo calibro. Adottata nel 1836 dall’appena costituito Corpo dei Bersaglieri, si diffuse tra le milizie volontarie risorgimentali

 

1840

Pistola a luminello da ufficiale

Descrizione:

Canna in acciaio, sezione ottagonale, brunita e damascata. Meccanismo a percussione a molla. (Belgio – Liegi)

1842

Così nacque la camicia rossa (litografia raffigurante volontario con camicia rossa di soldato garibaldino)

Descrizione:

Garibaldi interviene a sostegno del piccolo stato dell’Uruguay aggredito dalla ricca e potente Argentina. Comanda la Legione italiana, una formazione militare costituita da circa 500 volontari italiani e, tra mille difficoltà, deve anche fornire ai suoi uomini una divisa. Nelle casse dello Stato, ovviamente, non c’è un soldo. Dall’indigenza stava per nascere l’uniforme più celebre di tutto l’Ottocento. Una azienda tessile di Montevideo che, a causa della guerra e del blocco militare della città non riusciva a piazzare una partita di camiciotti di lana rossa, prodotti per gli operai dei macelli, i saladeros, aveva fatto un accordo col governo uruguayano per vendere a Garibaldi uno stock di quegli abiti. Garibaldi, da buon ligure, non si lasciò sfuggire l’occasione e vestì i suoi uomini con quelle rozze tuniche, il cui colore doveva nascondere le macchie di sangue, la prima conseguenza.

  

1848

Litografia raffigurante Francesco Nullo:

Descrizione:

Francesco Nullo (1826 – 1863), nato a Bergamo da una famiglia appartenente alla agiata borghesia degli affari, prese parte nel 1848 alle Cinque giornate di Milano e l’anno dopo partecipò alla difesa della Repubblica romana. Nel 1859 combatté a Varese e a San Fermo. La spedizione in Sicilia lo vide protagonista di diversi atti di valore: nonostante fosse stato ferito a Calatafimi, fu Nullo a piantare il primo tricolore a Palermo. Due anni più tardi fu con Garibaldi in Aspromonte. Fautore dell’indipendenza delle nazionalità oppresse, corse in aiuto della rivoluzione polacca del 1863, riuscendo a organizzare una legione di circa 600 volontari composta da italiani, francesi e polacchi nella quale fu colonnello. Cadde a Krzykawka in combattimento, durante un attacco dei russi. In Polonia è considerato un eroe nazionale. Si narra che morendo abbia detto la frase: “Sò Mort”

1848

Litografia raffigurante Giuseppe Giovannetti

Descrizione:

Giuseppe Giovannetti (1788 – 1848) lucchese, intraprende sin da giovanissimo la carriera delle armi, dando prova di spiccate attitudini militari negli anni napoleonici. Numerose le campagne a cui partecipa: Napoletano, Germania, Spagna, guerra contro la sesta coalizione (1813). Riceve numerose menzioni e avanzamenti di grado. Fattosi da parte all’arrivo degli Austriaci, è richiamato in servizio da Maria Luisa di Borbone. Dopo aver riorganizzato l’esercito lucchese ed esserne divenuto il comandante in capo, è costretto a dimettersi da Carlo Lodovico. Nel 1847 il Granduca di Toscana lo chiama a comandare la piazza di Firenze. Nel 1848 organizza il corpo di spedizione toscano che partecipa alla I guerra d’indipendenza. Sconfitto a Montanara (29 V 1848), durante il rientro in Toscana è ucciso da un subalterno.

 

1849

Garibaldi e Anita Morente, olio su tela del pittore lucchese Luigi De Servi (Lucca 1863-1945)

Descrizione:

Il quadro raffigura Garibaldi che tiene tra le sue braccia Anita morente presso le paludi di Comacchio, immagine drammatica e colma di umana pietà.

Anita, il cui nome esteso era Ana Maria De Jesus Ribeiro (1821 – 1849), brasiliana nata nello Stato di Santa Caterina, è figlia di contadini poveri. A soli 14 anni sposa un calzolaio, Durante de Aguiera: una convivenza destinata a durare poco. Ana, detta Anita, conosce Garibaldi quando lei ha 18 anni e lui è già oltre la trentina, impegnato a guidare le truppe farroupillas, “straccione” e repubblicane del Rio Grande del Sud in lotta per l’indipendenza dall’Impero brasiliano. Anita e Giuseppe si sposano a Montevideo nel 1842, un’unione da cui nascono Menotti, Teresita e Ricciotti. Nel 1848 la moglie e i figli seguono Garibaldi in Italia. Nel febbraio 1849 Anita raggiunge il marito a Roma mentre la situazione della Repubblica si fa sempre più disperata e Anita affronta una nuova maternità. Uscita da Roma a cavallo insieme a Garibaldi e a circa 4000 combattenti della Repubblica Romana, la giovane donna partecipa al tentativo di Garibaldi di raggiungere Venezia, ultimo baluardo della resistenza italiana ed europea al potere austriaco. L’iniziativa non riesce. Anita sta male: alla gravidanza si aggiungono le fatiche della fuga e una febbre malarica. Garibaldi e Anita, ormai sfinita, riescono a raggiungere le paludi di Comacchio aiutati solo da pochi amici fidati. In località Mandriole, Anita si spegne la sera del 4 agosto 1849: non aveva ancora 28 anni.

L’autore del dipinto, Luigi De Servi, pittore e ritrattista lucchese emigrato a vent’anni in Argentina dove riceve importanti committenze istituzionali, nella sua lunga carriera di artista sarà sempre sensibile ai temi della storia patria e alle vicende del mito garibaldino. Torna spesso nella sua ispirazione il momento più tragico dell’anno 1849, quando falliscono le illusioni repubblicane e democratiche di Roma e Venezia. Il pittore lucchese riassume tale disfatta nella morte di Anita, avvenuta il 4 agosto 1849 nel delta del Po.

1850

Pistola a luminello a semiretrocarica, ca 1850

Descrizione:

Canna in acciaio, calibro rigato, sezione ottagonale, damascata. I motivi decorativi sulla canna, l’impugnatura bombata in radica, le incisioni a fogliami a girali su quasi tutta la parte inferiore e il pomolo metallico a conchiglia dell’impugnatura rimandano a un’arma realizzata per un committente appartenente a una classe borghese medio-alta. (Belgio – Liegi)

 

1853

Sciabola del generale Albertini. Modello d’ordinanza dell’Esercito delle due Sicilie

Descrizione:

Lama con incisioni ad acquaforte di motivi fitomorfi e monogramma FII coronato. Fornimento in bronzo con coppetta decorata a motivi floreali. Compare la marca dell’artigiano armaiolo: Labruna 1853

 

1853

Litografia raffigurante alcuni soldati alla guerra di Crimea

Descrizione:

Un soldato francese, uno inglese e uno piemontese simboleggiano l’alleanza che si stabilì in Europa, in funzione antirussa e che, tra il 1853 e il 1856, sfociò nella guerra di Crimea. È attraverso questo sistema di relazioni diplomatiche, politiche, militari che il capo del governo piemontese, Camillo Cavour, tolse dall’isolamento internazionale il Regno di Sardegna e sollevò di fronte alle potenze europee la questione della nazionalità italiana.

1855

Sciabola per ufficiale dei volontari garibaldini

Descrizione:

Lama curva con incisioni all’acquaforte di motivi fitomorfi e stemma sabaudo. Al tallone, in caratteri corsivi, compare il marchio del fabbricante Solingen F. E. Bleckmann. Il classico fornimento “alla ussara” è in acciaio con le alette ferma fodero. L’impugnatura d’ebano, a settori zigrinati. Fodero in lamina di ferro a due campanelle.

 

1855

Sciabola n° 2 da Ufficiale dei volontari garibaldini

Descrizione:

Lama curva con incisioni all’acquaforte di motivi fitomorfi e insegne militari. Al tallone, sotto le alette, in stampatello scritta F: HOR……SOLINGER. Classico fornimento “alla ussara” con alette ferma fodero. Impugnatura d’ebano con settori zigrinati. Fodero in lamina di ferro a due campanelle.

 

1859

Litografia di Mac Mahon, il duca di Magenta

Descrizione:

Edme Patrice Maurice de Mac Mahon (1808 – 1893), distintosi nella guerra di Crimea fu posto da Napoleone III alla guida del II Corpo d’Armata francese impegnato nel nord Italia a fianco delle truppe piemontesi nel corso della II guerra d’indipendenza. Il 4 giugno 1859, a Magenta, diresse le operazioni dei franco-sardi contro gli austriaci, ottenendo un’importante vittoria che permise alle forze francesi e piemontesi di entrare a Milano.

1860

Litografia raffigurante La partenza dei Mille dallo scoglio di Quarto

Descrizione:

L’imbarco per la Sicilia dei Mille Garibaldini avvenne nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 sui vapori Lombardo e Piemonte, della società genovese Rubattino.

Da lì cominciò l’epica impresa che libererà il sud Italia dalla dominazione Borbonica e alla successiva unificazione nazionale.

 

1860

Litografia raffiguarante la battaglia di Calatafimi

Descrizione:

15 maggio 1860. Partiti da Salemi, i Mille muovono verso Calatafimi. Qui li contrasta il generale borbonico Landi, a capo di 2300 uomini attestati sulla collina di Pianto Romano. I Borbonici attaccano alle 10 del mattino. I Garibaldini costringono il nemico a ripiegare, ma in più di un’occasione vengono a trovarsi in una situazione critica, tanto che Bixio interroga Garibaldi se non sia il caso di ritirarsi. È allora che Garibaldi avrebbe esclamato: “Bixio, qui si fa l’Italia o si muore!”. Al tramonto i Borbonici si ritirano. All’alba del 16 maggio, le Camicie rosse entrano a Calatafimi

1860

Camicia “povera” di soldato garibaldino

Descrizione:

Camicia rossa originale di un volontario garibaldino. Per descriverla si riportano le appropriate parole di un Canto Garibaldino:

Porti limpronta di mia ferita, sei tutta lacera tutta scucita, per questo appunto mi sei più cara, camicia rossa, camicia rara”. (da “La camicia rossa”, parole di Rocco Traversa, musica di Luigi Pantaleoni, 1860)

 

1860

Litografia raffigurante i fratelli Sgarallino

Descrizione:

I fratelli livornesi Andrea (1819 – 1887) e Jacopo Sgarallino (1823 – 1879) rappresentano due figure esemplari di popolani che furono con Garibaldi e con la causa italiana. Andrea combatté a Montanara nel 1848, e l’anno successivo partecipò alla sfortunata difesa di Livorno. Nel 1860 raggiunse Garibaldi a Milazzo. Ferito a Caserta, fu decorato di medaglia d’argento. Nel 1866 partecipò alle operazioni della terza guerra d’indipendenza. In casa Sgarallino, a Livorno, Garibaldi dimorò in incognito per preparare la sfortunata spedizione di Mentana. Jacopo fu con l’esercito piemontese in Crimea (1854-55) e in Lombardia (1859). Fervente garibaldino partecipò alla spedizione dei Mille, alla dolorosa vicenda dell’Aspromonte (1862), alla tragica impresa garibaldina in Polonia dove trovò la morte Francesco Nullo (1863). Si batté nel Trentino (1866) e a Mentana (1867).

1860

Oggetti riferibili al tempo di Luisa Amalia Paladini

Descrizione

La lucchese Luisa Amalia Paladini (1810 – 1872), letterata ed educatrice, appartiene a quella folta schiera di ‘tessitrici’ del Risorgimento che si ritrovarono escluse dagli assetti politici e istituzionali del nuovo Stato. Pubblicò raccolte poetiche, collaborò con giornali indirizzati a un pubblico femminile, diresse l’Asilo infantile femminile di Lucca, la Scuola Superiore Normale e Sperimentale femminile di Firenze, l’Educandato femminile “Vittorio Emanuele II” di Lecce e fu Ispettrice generale delle scuole della Toscana.

Nella teca sono esposti oggetti di vita quotidiana del tempo quali un calamaio, dei fogli manoscritti, alcuni libri e un gioco da tavolo.

1860

Oggetti riferibili a Cleobulina Cotenna

Descrizione

In una teca sono esposti dei fogli manoscritti originali della lucchese Cleobulina Cotenna (1810 – 1874) Nata da una ricca famiglia di convinzioni democratiche, trasformò, insieme alla madre Gaetana e al marito Gabriello Leonardi di Coreglia, fervente liberale, la sua residenza di Monsanquilici (Monte San Quirico) in un luogo ospitale per i patrioti perseguitati (Guerrazzi, Montanelli, Medici…). Sfidò con coraggio le persecuzioni poliziesche e anche il carcere; con dignità affrontò la povertà che a lei e alla sua famiglia derivò da una sistematica pratica del soccorso ai bisognosi di ogni condizione sociale.

1862

Incisione relativa agli scontri in Aspromonte

Descrizione

Sull’Aspromonte, massiccio montuoso della Calabria meridionale, si consumò una pagina dolorosa del giovanissimo Stato italiano. Qui, il 29 agosto 1862, le truppe regie, al comando del colonnello Pallavicini, fermarono poco più di 2000 volontari garibaldini, sbarcati in Calabria quattro giorni prima, per muovere, agli ordini del Generale, alla volta dello Stato pontificio e liberare Roma dal potere papale. Un scambio di colpi d’arma da fuoco tra i due schieramenti fu interrotto da Garibaldi che volle evitare un combattimento fratricida. Al termine della scaramuccia il bilancio è di 12 morti. I volontari garibaldini sono imprigionati e lo stesso Generale dei Mille, ferito, arrestato, viene rinchiuso nel forte del Varignano a La Spezia.

1862

Incisione relativa al ferimento di Garibaldi in Aspromonte

Descrizione:

Nel corso dello scontro sull’Aspromonte,(29 agosto 1862), Giuseppe Garibaldi riportò due ferite da colpi di fucile: la prima, superficiale, alla coscia sinistra; l’altra, più grave, al collo del piede destro. Per Garibaldi iniziò un calvario che doveva durare oltre un anno. Al suo capezzale, prima a La Spezia e poi a Pisa, si alternarono i più illustri chirurghi italiani ed europei, ma fu il dottor Ferdinando Palasciano, medico napoletano, a formulare la giusta diagnosi: il proiettile era ritenuto nel collo del piede ed era necessario intervenire chirurgicamente al più presto”. L’intervento ebbe luogo a Pisa il 23 novembre 1862 a opera del prof. Zannetti di Firenze.

1866

Lettera di Alfredo Cappellini

Descizione:

Lettera (inchiostro su carta) di Alfredo Cappellini (1828 – 1866), livornese, il quale frequentò la Scuola di Marina Sarda a Genova. Guardia marina nel 1848, nel 1855 fu impegnato nella guerra di Crimea. Capitano di fregata, partecipò al’assedio di Gaeta e nel 1866 fu comandante della pirocorvetta Palestro. Era l’anno della III guerra d’indipendenza. La sconfitta di Custoza macchiò il prestigio del giovane Stato italiano. Occorreva un successo militare e si ordina all’ammiraglio Persano di occupare Lissa, un’ isola nell’ Adriatico, difesa dalla flotta austriaca. Il 20 luglio avvenne lo scontro. Sulla Palestro scoppia un incendio. Cappellini alla testa dell’ equipaggio lotta per due ore e mezzo nel tentativo di domare le fiamme. Ma la nave salta in aria, trascinando negli abissi 200 uomini tra marinai e soldati. Tra loro c’è Alfredo Cappellini. Alla sua memoria fu concessa la medaglia d’oro al valore.

1867

Incisione relativa alla battaglia di Mentana

Descrizione:

La battaglia di Mentana fu combattuta tra circa 5000 volontari, guidati da Garibaldi, e 11.000 franco-pontifici. Entrato nello Stato della Chiesa, il Generale costrinse alla resa il presidio di Monterotondo (25 X 1867), ma fallì nel frattempo la sollevazione di Roma. Garibaldi, informato di un contingente francese sbarcato a Civitavecchia, attaccò le truppe pontificie. La battaglia volgeva in favore delle camicie rosse, quando intervennero due reggimenti francesi armati con i moderni fucili a retrocarica, gli Chassepot, che ebbero la meglio sui volontari garibaldini forniti solo di superati fucili ad avancarica. Sopraffatti dal numero, falcidiati dal nuovo fucile in dotazione ai francesi, i garibaldini si ritirarono. Il comandante francese de Failly commentò la vittoria dei francesi con la frase tristemente famosa: “Gli Chassepot hanno fatto meraviglie.”

1870

Giubba di Tito Strocchi

Descrizione:

Uniforme di Ufficiale Garibaldino di Tito Strocchi. Nato a Lucca da una famiglia modesta Tito Strocchi (Lucca 1846 – Bagni di Lucca, 1879), si laurea in legge a Pisa nel 1866 e l’anno dopo è con Garibaldi a Mentana. A Lucca partecipa alla costituzione dell’ “Associazione fra i Reduci delle Patrie Battaglie”, e fonda il settimanale “Il Serchio”, che si rifà al magistero morale e politico dell’Apostolo genovese. Legato a Mazzini dal progetto dell’ ”Alleanza repubblicana universale”, viene arrestato nel 1869 con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. Liberato è l’organizzatore di una banda armata di circa 80 membri, che, traversato l’Appennino, intende puntare su Firenze, allora capitale del Regno, per promuovere un’insurrezione repubblicana. Impresa, questa, per festeggiare il ritorno di Roma all’Italia, Tito Strocchi raggiunge Garibaldi che si batte a fianco del popolo francese contro i prussiani. Nel gennaio 1871 combatte a Digione e partecipa con Ricciotti Garibaldi all’impresa di strappare ai prussiani l’unica bandiera da loro perduta nell’intera campagna di Francia. Di nuovo in Italia si dedica all’attività forense e giornalistica. Ammalato gravemente di tubercolosi, si spegne a Bagni di Lucca nel 1879.

1882

Bando di morte di Giuseppe Garibaldi e cimeli provenienti dall’isola di Caprera

Descrizione:

Esposizione del bando di morte (manifesto cartaceo) per le onoranze funebri di Garibaldi. Di seguito si riporta il testo scritto da Giuseppe Cesare Abba:

Ma un giorno improvvisa, non creduta quasi, come cosa non possibile ad avvenire, suonò e schiantò i cuori la notizia della sua morte. Parve che una forza irresistibile tirasse tutta l’Italia ad affacciarsi al mare, per vedere laggiù, l’isoletta, la casa, un lembo della coltre del gran morto. E si seppe che si era spento la sera avanti, in quella solitudine popolata per tanti anni dall’ingegno del suo gran cuore, guardando due uccelletti calati a posarsi gioiosi sulla sua finestra. Piansero di tenerezza fin quei che non lo avevano amato, perché fu detto che guardando quegli uccelletti, egli aveva parlato di spiriti cari venuti a pigliar il suo.”

Nella teca sono esposti, oltre al manifesto contentente l’annuncio pubblico della morte di Garibaldi, una cornice reliquiario di legno dorato contenente un ramoscello dell’albero di pino che ombreggia la tomba di Garibaldi a Caprera, donato dalla figlia Clelia (corredato da cartiglio con dedica autografa). Inoltre si torva esposto un frammento di pietra granito della tomba di Garibaldi con biglietto autografo di Clelia Garibaldi.

1890

Oleografia su tela di Giuseppe Mazzini

Descrizione:

L’immagine ritrae Giuseppe Mazzini. Di seguito si riporta una descrizione della personalità di Mazzini dello scrittore russo Aleksandr Herzen (Mosca 1812 – Parigi 1870)

Nel tratto Mazzini (Genova 1805 – Pisa 1872) è molto semplice, molto cortese ma, specialmente nella discussione, si vede che è avvezzo a dominare; a mala pena riesce a dissimulare il dispetto davanti a una contraddizione e talvolta non lo dissimula nemmeno […] Nella sua stanzuccia, con l’eterno sigaro in bocca, Mazzini a Ginevra, come già il papa in Avignone, concentrava nella sua mano tutti i fili del telegrafo psichico che lo mettevano in comunicazione viva con l’intera penisola. Egli conosceva ogni pulsazione del suo partito, ne sentiva la minima scossa, e vi rispondeva immediatamente, imprimeva a tutto e a tutti l’indirizzo generale, con meravigliosa instancabilità.[…] Preti di campagna, conduttori di diligenze, principi lombardi, contrabbandieri, osti, donne, banditi, tutti si sono messi all’opera, tutti sono anelli della catena che fa capo a lui e a lui obbedisce.

1890

Olio su tavola raffigurante Mazzini Morente

Descrizione:

Il quadro, di autore ignoto, riproduce un famoso dipinto di Silvestro Lega (1826 – 1895) Mazzini morente, priva di retorica l’immagine lo raffigura sul letto di morte, avvenuta a Pisa il 10 marzo 1872. Avvolge le spalle del Genovese agonizzante il plaid che era stato di Carlo Cattaneo. Nella città toscana Giuseppe Mazzini (Genova 1805 – Pisa 1872), rientrato clandestinamente in Italia dopo il suo ultimo arresto nel 1870, viveva sotto il falso nome di Giorgio Brown in casa di Pellegrino Rosselli.

1897

Oleografica su carta raffigurante Garibaldini in grecia

Descrizione:

Il 17 maggio 1897 nella regione greca della Tessaglia Domokos: i garibaldini sono a fianco del popolo greco. Nel corso della guerra greco – turca, l’esercito ellenico subisce una dura sconfitta solo in parte riscattata dal valore dei volontari italiani in camicia rossa accorsi a fianco di greci. Un esempio significativo dell’internazionalismo garibaldino per la libertà dei popoli.

1905

Film “La presa di Roma”

Descrizione:

Il film sulla presa di Roma fu il primo lungometraggio a soggetto nella storia del cinema italiano, La presa di Roma, del 1905, che ha come regista e produttore Filoteo Alberini (1867 -1937), pioniere della cinematografia nazionale. Il film, proiettato a Roma il 20 settembre 1905 su un grande schermo disposto davanti alla Breccia di Porta Pia alla presenza di decine di migliaia di spettatori accorsi da tutta Italia, si proponeva di contribuire alla formazione di un’identità nazionale in senso laico, coinvolgendo anche gli strati meno istruiti della popolazione e non ancora toccati dal processo unitario.

1909

Proiezione video del film “Il piccolo garibaldino”

Descrizione:

Film muto realizzato per la Cines, appartiene alla fase aurorale del cinema italiano; narra la storia di un ragazzo che fugge di casa per raggiungere il padre volontario dei Mille. Giunto in Sicilia, accolto e arruolato tra le camicie rosse, il piccolo garibaldino muore combattendo a fianco del genitore. Tratto probabilmente da un romanzo per ragazzi che parla di Giuliano Mazè.

1915

Tascapane

Descrizione:

Piccola sacca che veniva portata a tracolla per mezzo di una cinghia, adatta a conservare effetti personali, munizioni supplementari, pacchetto di medicazione. Di forma rettangolare, realizzata in tela pesante, presenta una faccia superiore che ricopre parzialmente la faccia anteriore e ne permette la chiusura. Nel corso della guerra 1915 – 18, l’Esercito italiano utilizzò un modello standard di tascapane adottato fin dal 1907.

1915

Maschera antigas

Descrizione:

I gas asfissianti fecero la loro prima comparsa nella Grande Guerra. Accadde il 22 aprile 1915, a Ypres, sul fronte occidentale. I tedeschi, per vincere la resistenza avversaria, ricorsero a proiettili d’artiglieria caricati a gas di cloro, con effetti devastanti. Da allora, i gas tossici furono adottati da tutti gli eserciti. I composti chimici più usati furono oltre al cloro, il bromo, il fosgene, la cloropicrina. Per difendere le vie respiratorie dei soldati esposti a questi aggressivi chimici furono adottate le maschere antigas. Inizialmente molto semplici (un tampone di garza imbevuto di sostanze antagoniste), via via più complesse, fino a prevedere, oltre a un sistema di filtri, gli occhiali per proteggere gli occhi.

1915

Il filo spinato

Descrizione:

Al filo spinato fecero ricorso in maniera massiccia tutti gli eserciti che si batterono nella Grande Guerra. La lunghissima trincea che per quattro anni spezzò in due l’intero continente europeo fu, infatti, consolidata da sbarramenti di reticolati di filo spinato, detti “cavalli di Frisia”, che contribuirono a trasformare il conflitto in una micidiale guerra di posizione. L’unico modo per avere ragione dei reticolati di filo spinato consisteva nell’aprirvi dei varchi, sotto il fuoco nemico, ricorrendo a pinze e cesoie oppure a esplosivi deposti manualmente. Solo nella ultima fase del conflitto il ricorso al carro armato, segnò il tramonto della trincea e del filo spinato.

1918

Bollettino della vittoria

Descrizione:

24 ottobre – 3 novembre 1918, un’offensiva militare italiana, dopo una dura lotta sul Grappa e sul medio Piave, si conclude con la vittoria di Vittorio Veneto. Il 3 novembre gli italiani entrano a Trento e Trieste. Lo stesso giorno a Villa Giusti (Pd) viene firmato l’armistizio che il giorno seguente pone fine alle ostilità. Il Bollettino della Vittoria, impresso nel marmo, fu apposto a duratura memoria e si riporta qui di seguito il testo integrale:

Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12

Bollettino di guerra n. 126

La guerra contro l’Austria Ungheria, che sotto la guida di sua maestà il Ré -Duce supremo- l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 giugno 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse, ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.

La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte 51 Divisioni Italiane, 3 Britanniche, 2 Francesi, 1 Czeco-slovacca ed 1 Reggimento americano, contro 73 Divisioni Austro-ungariche, è finita.

La fulminea ed arditissima avanzata del 29° Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII° Armata e ad oriente da quelle della I°, VI°, IV° , ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario.

Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII° e dell’ VIII°, della Decima Armata e delle Divisioni di Cavalleria ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.

Nella pianura S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III° Armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già gloriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

L’Esercito austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nella accanita resistenza dei primi giorni di lotta e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini ed i depositi: ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi Stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Diaz

1934

Gloria

Descrizione:

Prodotto dall’Istituto LUCE nel 1934 per la regia di Roberto Omegna, (1876 – 1948), Gloria propone le immagini della I guerra mondiale realizzate direttamente sul campo di battaglia da operatori civili e militari. Omegna, considerato uno dei padri del documentario scientifico e di viaggio, ha montato questi materiali visivi costruendo un racconto fedele e corale delle fasi salienti di quel conflitto. Il regista si sofferma soprattutto sui volti anonimi di miglia di “ragazzi del ‘99” inviati al fronte poco più che diciottenni. Visi, ora determinati, ora impauriti, prima dell’assalto; la stanchezza dopo la fatica dello scontro; i corpi dei caduti; la disperazione per le perdite; la gioia della vittoria; lo sguardo dolente e rassegnato dei prigionieri… La narrazione della nazione in armi impegnata nella più difficile prova della sua ancora breve storia unitaria.

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